IDEE /INTERVISTE

Marketing, territorio e persone

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IDEE /INTERVISTE

D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie,

ma la risposta che dà a una tua domanda.

Scriveva così Italo Calvino ne Le città invisibili anticipando la più importante delle leggi del marketing.
Soddisfare i bisogni dei clienti.
Questo vale anche, e soprattutto, se parliamo di luoghi.
Noi che le città le abitiamo, le viviamo, ci lavoriamo, le visitiamo siamo clienti esigenti.
Le nostre domande e i nostri bisogni, in qualità di abitanti o di visitatori con esigenze spesso inconciliabili fra loro, sono complessi da soddisfare. 
Se pensassimo alla città come ad un’azienda con tanti prodotti e servizi da promuovere e le persone come il target dei clienti da raggiungere e utilizzassimo le leve del marketing per farlo… allora sì, potremmo parlare di marketing della città.

Ma commetteremmo un grave errore di semplificazione.

La città è un sistema ben più complesso di un’azienda o di un bene di consumo.
I bisogni da soddisfare sono molteplici, il pubblico è eterogeneo, l’offerta di prodotti e servizi disomogenea.
Il territorio è un sistema articolato, in cui si fondono elementi politici, sociali, culturali, valori e diverse aspettative degli stakeholder.
Nel contesto territoriale non è possibile concentrarsi su una parte limitata della domanda, segmentando e mirando le proposte come può fare un’impresa. L’impresa può scegliere chi soddisfare e come farlo, può concentrarsi su alcuni segmenti di mercato che ha analizzato, all’interno dei quali ritiene di poter raggiungere un vantaggio competitivo, oppure può decidere di orientarsi contemporaneamente a più segmenti ai quali indirizzare offerte mirate e anche nel caso in cui scegliesse di rivolgere la propria attenzione all’intero mercato, resta ferma la sua facoltà di decidere il cliente a cui indirizzare le sue proposte.

Non funziona così per la città.

Il territorio si rivolge contemporaneamente a tutti i suoi utenti e pertanto si trova a dover soddisfare un gran numero di bisogni eterogenei e spesso contrastanti.
Come conciliare il delicato equilibrio fra turismo e qualità di vita dei residenti? Fra le zone pedonali e le attività commerciali? Come rispondere al crescente bisogno di parcheggi o alla necessità di car-sharing,…?
Inoltre i residenti, le imprese, i turisti e tutti gli utenti di un territorio, oltre ad essere i clienti-destinatari del marketing territoriale, sono a loro volta attori-promotori, spesso inconsapevoli, dell’immagine e della reputazione di un luogo.
Chiarito che non è corretto applicare in maniera pedissequa il marketing d’impresa al marketing della città dobbiamo fare attenzione anche ad altri possibili malintesi di semplificazione.
Studiare o fare restyling al logo di una città, creare attività di promozione sono parte di un piano, non ne costituiscono l’obiettivo.
Attraverso il marketing dei luoghi possiamo certamente mirare a modificare o a migliorare la percezione di un luogo da parte dei residenti o degli utenti esterni ma dobbiamo non cadere nel malinteso di fondo che vede il marketing coincidere con la sola creazione di immagine e promozione.

Altro possibile rischio è attribuirgli un ruolo eccessivo confondendolo con il piano di sviluppo del territorio.

Il Place marketing.

Il place marketing o marketing dei luoghi non è un nuovo modo per definire la pianificazione territoriale.
La funzione di regolamentazione e progettazione del territorio non compete al marketing, che, se inserito nei piani strategici della città, è uno degli elementi chiave per attuare una buona pianificazione territoriale. 
È evidente che le scelte urbanistiche, quindi di governo del territorio, e il marketing territoriale devono seguire un percorso comune, coerente e condiviso il cui presupposto di partenza potrebbe essere proprio il riconoscimento della qualità del patrimonio architettonico, storico e paesaggistico di un territorio e del benessere delle persone che lo vivono.

 

“A city should be managed as a business enterprise” Van den Berg (1990)

 

La città non è un’azienda, ma nonostante le complessità può essere gestita come tale e dal marketing possiamo attingere agli strumenti: strumenti di carattere metodologico/organizzativo e strumenti di progetto che supportano l’analisi delle risorse territoriali fino all’indagine dei bisogni, alla valorizzazione del sapere locale, alle tradizioni, alle opere architettoniche,…
Prima di attuare una qualsiasi strategia è necessario analizzare e conoscere, identificare i punti di forza e di debolezza del luogo, le minacce e le opportunità che possono prospettarsi. Creare, attraverso il marketing, un racconto strutturato dell’identità di un territorio lo rende più competitivo a livello globale, contribuendo contestualmente alle sue politiche di sviluppo.

Sì, perché un luogo compete e si contende turisti, studenti, investimenti, compresa la più complessa soddisfazione di chi lo abita. Conoscere con chi si compete è fondamentale. Non contro chi ma con chi.
La competizione non ha un’accezione negativa, competere è inteso come conquista di uno spazio e di un posizionamento chiaro. Un territorio gode della vicinanza di territori forti e della sinergie con altri territori; una strategia equilibrata e diversificata rispetto alle aree circostanti può costituire la base anche per uno sviluppo e una promozione sistemica di un territorio più vasto.

Quali ricette per un marketing territoriale efficace?

Una ricetta antica e sempre valida include, oltre al necessario contenuto progettuale, tempi e metodi.
La gestione di un territorio non può che avere un’ottica di lungo periodo.
 Parliamo di persone e del loro benessere.
Fondamentale l’ascolto e il confronto per perseguire inclusione, complementarietà, integrazione e creare relazioni durature e network.
 C’è una base imprescindibile che costituisce le fondamenta sulle quali costruire un piano e riguarda i bisogni primari di chi vive la città, i temi della sicurezza, igiene, educazione, funzionamento dei trasporti pubblici, infrastrutture adeguate, sviluppo economico,… ma non è su questi punti, scontati e irrinunciabili, che si gioca la differenziazione e il conseguente posizionamento del luogo.
È con quanto c’è di arbitrario che ci caratterizziamo, che emergiamo verso l’esterno.
Èopportuno differenziarsi partendo dalle proprie specificità e in seguito progettare la comunicazione in modo da raccontare il territorio con un’identità forte e un’offerta alternativa.
 La riconoscibilità, nonché l’unicità del luogo, è intimamente legata agli individui che lo abitano e lo vivono.
Cultura, tradizioni, stili di vita connotano i luoghi; aspetti che oggi sono salvaguardati da numerose convenzioni, una tra tutte la Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale, approvata il 17 ottobre 2003, che sancisce l’importanza che questi elementi hanno nella costruzione del benessere psico-fisico-emotivo dell’uomo e che per questo necessitano di protezione.
Proteggere le tradizioni, i negozi storici, le eccellenze del territorio, le memorie del luogo e limitare tutto ciò che è impersonale, impedire che camminare lungo la via Emilia sia uguale ad essere in un qualunque Viale o peggio in un Avenue di una qualunque altra città.

 

“L’identità e l’immagine dei luoghi che abitiamo sono estensioni dell’identità e dell’immagine di noi stessi. È una tendenza umana naturale per le persone quella di identificarsi con la propria città, regione o paese” Anholt (2010)

 

Noi siamo il riflesso delle nostre città, chi le vive e chi le visita cerca esperienze autentiche.
 Lo dimostra il fatto che continuiamo a sentirci attratti e incuriositi di fronte ad una vecchia insegna di bottega mentre ci lascia indifferente un patinato, seppur efficiente, centro commerciale. 
La fredda efficienza, in questo caso, causa spersonalizzazione.
 Ci sono molti modi di raccontare un luogo ed ogni racconto produce effetti su chi legge e vive lo spazio; cosa raccontare è parte fondamentale del piano per modificare e accrescere la reputazione del luogo. 
La reputation di un luogo infatti è fortemente radicata nel tempo e ha lenti processi di cambiamento, tende a raccontare la realtà per stereotipi e semplificare l’identità a partire dalle nazioni fino ad arrivare a città e addirittura quartieri. Servono pochi forti chiari messaggi per imprimere e modificare nella mente delle persone l’identità di un luogo.


“La principale premessa quando si parla di place branding è che quando un luogo viene nominato, numerose associazioni sono evocate nella mente degli individui”
  Sevin (2014)

Il City Branding.

Simon Anholt, verso la metà degli anni novanta, coniò il termine nation branding  descrivendo come le tecniche del marketing e del branding applicate alla promozione dei luoghi potessero agire al punto da condizionarne la reputazione e l’attrattività. 
Non è certo sufficiente uno slogan accattivante o un bel marchio per attrarre persone e capitali ma sicuramente l’attività di branding se inserita in un piano più ampio concorre a migliorare il valore percepito dei luoghi.
Marketing e Branding, non vanno confusi.
 Il marketing ha l’obiettivo di riconoscere i bisogni delle persone e di rispondere a questi creando valore, il branding – che è parte del marketing – invece si focalizza sul mantenimento di una promessa attraverso un sistema visivo.
Il city branding mira ad influenzare e indirizzare le scelte delle persone ponendo la città all’interno delle loro mappe mentali e creando una percezione positiva del luogo, che si tratti di viverci, di visitarlo o di investire. Sebbene il city branding all’inizio fosse focalizzato principalmente sull’attirare l’attenzione del pubblico esterno per incrementare il turismo, oggi l’attenzione è sempre più focalizzata sui residenti, attuali e  potenziali; trattenere e attirare nuovi residenti è per le città il principale obiettivo. 
Per questo è fondamentale fare ma anche comunicare e mostrare indicatori di performance. Proprio come un’azienda.

 

Misurare i  KPI delle città.

Negli ultimi anni sono proliferati modelli di ranking e sistemi di misurazione per definire reputazione e attrattività dei luoghi. Si misura ogni parametro delle città, dall’aria, alle piste ciclabili, al mq di verde per abitante,… fra questi metodi, il Nation Brands Index e il City Brands Index (creati proprio da Simon Anholt) sono basati su sondaggi che misurano la percezione delle persone comuni rispetto alle principali nazioni e città del mondo, senza che queste effettivamente conoscano i luoghi, ma basandosi sulle notizie, su stereotipi, su “quello che si dice”, il buzz marketing, e su tutto ciò che concorre a costruire un immaginario collettivo. 
Questi ranking registrano la variazione della reputazione dei luoghi, consentendo di valutare nel tempo gli effetti ottenuti grazie a specifici interventi, ma anche di registrare le variazioni legate a fenomeni imprevedibili o non controllabili, quali ad esempio eventi di cronaca, calamità naturali, instabilità politico-sociali. Pensiamo a Londra e alla Brexit, piuttosto che a Parigi e agli attentati terroristici o ai gilet gialli che ripercussioni possono avere sul percepito collettivo.

I residenti sono quindi fulcro delle attività per garantire una buona reputazione e, come è ben noto, pochi sono profeti in patria. Far parlare bene delle attività di un’amministrazione pubblica diventa quasi una sfida. 
I “trend di marketing” ci raccontano che, grazie ai nuovi media, anche chi si occupa di marketing della città oggi è invitato a concentrarsi su pochi argomenti e messaggi trasformandosi da content producer a curator.
Se il successo del marketing delle città (e non solo) un tempo era misurato dal numero di depliant stampati, dai nuovi siti web, dal numero di eventi, e più di recente dalla crescita dei fan delle pagine Facebook o dei follower di Twitter – vanity metrics – oggi tutto questo sta rapidamente cambiando. 
L’impatto non è più nella produzione di contenuti ma nel coinvolgimento del pubblico, l’engagement. Le storie autentiche raccontate da utenti, siano essi visitatori o cittadini vincono su quelle prodotte dalle agenzie di marketer professionisti, il cui ruolo è quindi quello di raccogliere e dare vita alle storie, di mantenere i contatti con potenziali influencer e stakeholder chiave del marchio Città e di diventare figure di mediazione tra i vari produttori di storie.

Senza la partecipazione attiva dei cittadini non può esistere un efficace marketing delle città.

Non si tratta più lavorare ai bisogni della popolazione e dare risposte creando slogan o campagne pubblicitarie, è necessario coinvolgere attivamente il cittadino “nel discorso sul territorio in quanto soggetto attivo, […] produttore di azioni, strategie, progetti […]” (Giusti, 1995).
Non parliamo dei soliti tavoli di partecipazione e coinvolgimento, una progettazione partecipata richiede cultura e conoscenza che deve essere guidata e accompagnata in un percorso di consapevolezza e senso di appartenenza al luogo.
La costruzione del brand di un territorio e della sua immagine infatti esprime i valori che il territorio possiede e che hanno forte impatto emotivo sulla collettività.

“Il coinvolgimento deve iniziare prima e richiede una comprensione più completa e più precisa del processo mediante il quale le persone producono le cose” (Senneth, 2009) e del modo nel quale le persone vivono il proprio luogo, comprese le relazioni con oggetti e persone che a loro volta lo costituiscono.

Per questo gli attori di un piano territoriale sono molteplici, professionisti e tecnici, dal sociologo, all’antropologo, all’urbanista, a quella dell’esperto di marketing, del designer e così via per poter avere una visione completa e sfaccettata del territorio. Un progetto che, per la qualità intrinseca dei luoghi, è in continuo divenire e necessita, per la sua riuscita, di una progettazione guidata ma condivisa con il suo principale fruitore: il cittadino.
Un cittadino a cui prima creare cultura e consapevolezza della città attraverso laboratori e casi studio per poter essere parte attiva pensante nella creazione dei contenuti.

Il cittadino prosumer.

E se, come per il consumatore di prodotti si è assistito alla nascita della figura del prosumer (consumatore attivo), così avviene anche per il cittadino a cui si richiede sempre maggiore partecipazione.
Un fenomeno non nuovissimo nelle aziende ma straordinariamente importante se si pensa al cittadino come a un consumatore che crea costantemente il suo prodotto, la città, e che lo modella, o tenta di farlo, sulla base dei propri bisogni e desideri.
Si va nella direzione di un piano sempre più aperto, flessibile e dinamico che, per rispondere a vecchi e nuovi bisogni, riconfigura la figura del progettista, che si trova oggi davanti a nuove responsabilità, nuove capacità da acquisire e nuovi strumenti da gestire.

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