IDEE /INTERVISTE, VIAGGI

Mio padre è pioggia.

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[Viaggio in India – 03.23]

Pushkar come Lourdes.
Sono arrivata e tutto mi sembrava fuorché spirituale.
Troppo di tutto.
Per la prima volta in India mi sono sentita a disagio, strattonata, spinta, tirata, accalappiata.
Ho avuto un forte desiderio di piangere.

 

Pallavi, la mia amica di Mumbai, mi aveva suggerito, dopo una serata di confidenze, di lasciare i miei pesi a Pushkar.

 

Li aveva sentiti fra le mie parole; sono così profondi e silenziosi che non li ascolto più.
Nasconderli o peggio sovrastarli con i sorrisi non fa che rafforzarli. Si annidano lì e saltano fuori nei momenti peggiori.

 

Sì, è vero ho imparato a respirare, insegno alle persone come riuscirci, ma arginare e schiacciare ancora una volta i pesi del cuore, come mi ricorda Pallavi, non serve.

 

Lasciali andare. Vivili ancora una volta e poi abbandonali.

 

Pensavo sarebbe stato facile. Vado lì penso ai mayer della mia vita e puff spariscono tutti.
Diligente su un foglietto ho scritto i nomi, i momenti, le paure e i dolori, i rimpianti, le cattiverie, ciò che credo di aver fatto e di aver subito. Non ho solo subito. Ho anche fatto, per paura, per opportunismo o per sola pigrizia.

 

Però Pushkar non mi veniva incontro, anzi.

 

Il bramino per quanto sorridente e accogliente mi faceva sentire un pollo da spennare.
Una polla. Ripeti con me, per tuo marito per  i tuoi figli per per per.
Scusi, non ho marito non ho figli, ho tante persone che amo. Federico, Giulio, Francesco.
Vale lo stesso?

 

L’ironia per proteggermi. Lo faccio sempre.

 

Ho aggiunto all’elenco i miei quattro amori, Mattia, Jacopo, Sabrina e Andrea. Mio fratello e Federica, mia sorella e Matteo, mia madre, Irene e Sergio (♥️) e tutta la famiglia di Federico, e i cani e i gatti e e
E i morti? Non elenchiamo anche loro? Non finirò mai.

 

E se facessimo che dio è onnisciente e dico un generico per tutte le persone che amo.
Sa, io non vorrei dimenticare nessuno. Le mie amiche, i miei amici, stiamo qua dei giorni.

 

Mi suggerisce dai le priorità. Anche lui! Rido (o piango?).
No, mi dispiace nessuna priorità.
Un generico bene per tutti e tutte, bene per il pianeta. Mi va bene così.

 

Mi informa che se voglio che si avverino i desideri di bene oltre ad essere più precisa devo fare una donazione che sostenga la comunità. Ci sono delle tariffe. Certo dipende da me, ma è consigliabile, altrimenti…

 

“Guardi, 3000 rupie è il minimo ma è un po’ poco per così tante persone. It’s up to you”.
Sì, d’altra parte ha ragione, è giusto. Come si sosterrebbe la comunità?
Accetto  di fare la donazione come parte dell’esperienza.
Lo vivo come pagare un biglietto al museo.
Non è lo spirito giusto, ma chiedere a qualsiasi dio di farmi essere in salute felice serena e così per la mia famiglia e i vicini prossimi proprio mi disgusta.

 

Non ho ancora capito il concetto della fede.
Trovo egoista pregare solo per chi ami e basta.
Trovo generico farlo per la pace nel mondo.
Non ho ancora fatto pace con le religioni.

 

Il dio in cui credo non ha bisogno che chieda, né che elenchi.
È un dio che sa da solo, non ha bisogno dei miei suggerimenti.

Fatto il rituale, ho bagnato gli occhi e la testa con l’acqua sacra del lago (nessun commento sulla pulizia) e sono riuscita ad emozionarmi. Ho fatto quel che si deve con onestà.
Finito tutto, volevo scappare e urlare.
Piangere e disperarmi. Di colpo ho visto ciò che per giorni vedevo e non guardavo.
La sporcizia ovunque, le cose rotte, i colori troppo accesi, i rumori, le mie foto.

BASTAAAAAA.

Voglio stare sola.

Sono scappata in un angolo sporco, ho smesso di documentare, fotografare. Ho spento tutto.
Ho pianto davvero, come non facevo da tanto tanto tempo.
E ho scritto.

 

Papà aiutami, portami via.
Avrei voluto essere con te quando si è interrotto il tuo respiro.
Ero distante, ci siamo guardati al telefono, ma io, stupida romantica, volevo tenerti la mano, volevo dirti che sarai sempre con me. Che sei stato il padre migliore del mondo sempre, anche quando hai sbagliato e mi hai fatto male. Vorrei essere stata tua madre, avrei voluto coccolarti. Avrei voluto proteggerti. L’ho sempre desiderato, anche da bambina.
Sentivo un trasporto inspiegabile, materno.
Ho sempre creduto a chi mi detto che non sarei stata madre perché lo ero già.
Si può essere madre in tanti modi, papà.
Il nostro momento per salutarci non c’è stato perché non ne abbiamo avuto bisogno.
Ero dove dovevo essere e con chi.
Tu eri con mia mamma, con chi era giusto fossi.

 

É iniziato a piovere, io lì con i miei foglietti in mano.
Con i miei pesi da buttare.
La gente è corsa via, le strade improvvisamente vuote e così tutto intorno.
Mi sono lasciata pulire dalla pioggia tiepida.
Mi sono lasciare abbracciare da mio padre.
Sono salita su un tetto e strappato i miei bigliettini che sono volati via.

 

Grazie papà.

 

Sono tornata in hotel. Stanchissima, con gli occhi neri di lacrime e mentre pensavo a come scappare dall’hotel più triste in cui sono mai stata è uscito un arcobaleno. Di quelli da fiaba.
È tornato il sorriso, sono tornati i colori intorno a me.

 

Grazie Pallavi, adesso mi sento leggera pronta a ripartire.

 

Nota.

Mentre, in viaggio verso la mia nuova meta, scrivo sta piovendo. Non sarà la stagione delle piogge? (scherzo, papà).

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