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IDEE /INTERVISTE
Case di cartone e di bambù. Architetture temporanee che diventano permanenti. Sperimentare, osare, ribaltare gli schemi e pensare al mestiere dell’architetto come ad una missione.
Lo impariamo da Shigeru Ban*, premio Pritzker nel 2014, quando ci racconta del suo modo così lineare e cristallino di concepire l’architettura.
Rispetto verso la natura e il pianeta ma, soprattutto, verso gli esseri umani, ai quali vuole offrire una qualità di vita migliore.
Nella sua lectio Magistralis non parla di sostenibilità. La sostenibilità per lui non è un concetto da aggiungere a posteriori; piuttosto è intrinseca all’architettura.
Fare architettura è una missione. Vuol dire progettare
pensando prima al benessere delle persone e
farlo rispettando il pianeta.
Recuperare, utilizzare le risorse disponibili e riutilizzare quello di cui già disponiamo, sperimentando, azzardando fino a costruire architetture di cartone.
L’architetto giapponese utilizza materiali non convenzionali come carta, bambù, prodotti da imballaggio, tessuti, fibre riciclate di carta e plastica di recupero.
Può il cartone essere un elemento strutturale?
La Paper House (1995), costruita per uso personale, è stato il primo progetto in Giappone ad ottenere l’autorizzazione all’uso dei tubi di cartone come materiale strutturale. 110 sono i tubi di cartone (2,7 m di altezza, 275 mm di diametro e 148 mm di spessore) che definiscono la forma a S dell’abitazione.
Decine sono i progetti di questo tipo dal Paper Log House, abitazioni di rapido montaggio per i terremotati di Kobe, alla Paper Church, sempre a Kobe (1995), ma anche la Temporary Elementary School di Chengdu (China 2008), il Container Temporary Housing di Onagawa (Giappone, 2011) e altri interventi in Turchia, in India ed anche in Italia con la Paper Concert Hall, una sala concerti che può essere smontata e rimontata e che si dice abbia un’acustica perfetta proprio grazie al cartone.
Edifici temporanei o permanenti?
Molti dei progetti di Ban nascono come temporanei ma come spesso succede non è il materiale a dichiarare quanto deve vivere un edificio. Lo è piuttosto la scelta di chi lo vive.
“Il concetto di durabilità di un edificio andrebbe rivisto. Perché non sono i materiali che compongono l’edificio a sancirne la durata nel tempo. Ma sono gli abitanti a decidere se una struttura è degna di sopravvivere o no”.
Non si contano gli edifici abbandonati realizzati con materiali che dovevano essere eterni. Per resistere nel tempo, gli edifici devono essere amati prima da chi li progetta e poi da chi li vive.
Architettura umanitaria.
Ban progetta strutture temporanee di accoglienza per profughi e vittime di disastri naturali utilizzando materiali poveri e di recupero, come container ma anche casse di birra e coca-cola, tubi di carta riciclata al posto del cemento e dell’acciaio e per progettare edifici dal ridotto impatto ambientale, utilizzando con sapienza gli elementi naturali.
Le sue architetture di emergenza sono geniali, strutture che possono essere smontate e rimontate facilmente come accadde per la Paper Church, una chiesa costruita in pochi mesi da 160 studenti volontari. Una struttura composta da 58 tubi di cartone che doveva sostituire temporaneamente la chiesa distrutta dal terremoto. La chiesa verrà disassemblata nel 2005 (resistette ben oltre le aspettative!) e i materiali vennero donati a Taiwan, anch’essa vittima di un terremoto.
Centinaia sono i progetti di Shigeru Ban, visitare il suo sito e leggere le sue architetture fa innamorare del mestiere di architetto.
Sentirlo parlare dal vivo è un’esperienza importante.
Lo contraddistinguono grazia e umiltà, ironia e sicurezza, quella di sapere con certezza il perché dell’architettura.
Siamo a Bologna al Palazzo dei Congressi di BolognaFiere e Shigeru Ban inizia la sua lezione salutando Emilio Ambasz seduto in prima fila ad ascoltarlo. Fra i primi progetti del giovane Ban ci fu proprio un allestimento per la mostra itinerante dell’architetto Emilio Ambasz, forse il primo dei suoi ispiratori. Ed è solo l’inzio.
L’architettura sì che ha il potere di cambiare la vita delle persone.
biografia Shigeru Ban
Shigeru Ban è nato a Tokyo nel 1957. Dopo aver studiato in Giappone e aver lavorato con Arata Isozaki, si è formato negli Stati Uniti, alla Southern California Institute of Architecture e alla Cooper Union School of Architecture, dove si è laureato nel1984. L’anno successivo fonda nella sua città natale lo studio Shigeru Ban Architects.
Oggi lavora tra Tokyo, New York e Parigi e tra le sue opere più innovative spiccano il Curtain Wall House, il Japan Pavilion Hannover Expo 2000, il Nicolas G. Hayek Center e il Centre Pompidou-Metz. È noto in tutto il mondo per l’impegno a seguito di emergenze, terremoti o altri disastri naturali, con la progettazione di soluzioni a costi contenuti. Decine i progetti di questo tipo come il Paper Log House, abitazioni economiche e di rapido montaggio per i terremotati di Kobe, e la Paper Church, sempre a Kobe (1995), ma anche la Temporary Elementary School di Chengdu (China 2008), il Container Temporary Housing di Onagawa (Giappone, 2011) e altri interventi in Turchia e in India. Un impegno che diventa corale con la creazione della VAN (Voluntary Architects’ Network), organizzazione non governativa formata da una rete di professionisti coinvolti in questo tipo di progetti.
Oltre al Pritzker Prize del 2014, numerosi i premi che gli sono stati assegnati, tra cui il Thomas Jefferson Foundation Medal in Architecture (2005), l’Ordre des Arts et des Lettres, (2010) and l’Auguste Perret Prize (2011). Ban è stato inoltre membro della giuria del Pritzker Architecture Prize dal 2007 al 2009, professore alla Keio University in Giappone dal 2001 al 2008 e ha insegnato tra gli altri all’Harvard University Graduate School of Design, alla Cornell University (2010) e alla Kyoto University of Art and Design.
credit ph. shigerubanarchitects.