Gli architetti e la comunicazione.

laura credidio

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Comunicare è un mestiere.
Poche volte ci si interroga su quanto sia importante oltre al “saper fare” il “far sapere”. Un’ovvietà certo. Eppure diamo tutti per scontato che qualsiasi professione debba avere implicito il dono del saper comunicare. Un dono che riteniamo compreso nel bagaglio genetico se parliamo di architetti.

Ci si aspetta siti, depliant, articoli, infografiche, talk e oggi anche la presenza su tutti i social media al pari delle migliori agenzie di comunicazione.  Perché? Forse perché agli architetti oltre alla competenze professionali associamo capacità e competenze legate alla scrittura, alla grafica, alla fotografia, a tutto ciò che a fare con estetica e forma.

Ma comunicare è un mestiere diverso dal progettare e non è sufficiente conoscerne gli strumenti per comunicare in maniera efficace.
Comunicare implica la conoscenza di poche regole base ma fondamentali: a chi comunichiamo e con quale obiettivo. Poi entrano in gioco tanti altri fattori per rendere il più efficace possibile la nostra comunicazione, fra cui il linguaggio e le modalità che utilizziamo per raggiungere l’interlocutore.

Già perché comunicare è ben diverso da informare.

Implica un rapporto, una relazione. Una relazione da instaurare con un pubblico che bisogna conoscere. Forse allora più che saper comunicare diviene fondamentale avere alcune competenze base di marketing nella propria professione.  Definire degli obiettivi e creare piani per raggiungerli.

La buona comunicazione non è mai fine a se stessa, è mirata a raggiungere obiettivi non ad autocelebrarsi o tantomeno a cercare fan o follower, li ke o condivisioni.
Definire gli obiettivi tuttavia non è la partenza ma una delle tappe di un piano di comunicazione. Bisogna attraversare analisi, mappe, scenari, interrogativi e simulazioni per arrivare a definire target e risorse.
Affascinante, ma un altro mestiere.

Il tema della comunicazione per gli architetti è un tema che da anni interessa addetti ai lavori e non e sta diventando sempre più pressante.

Oggi che la divulgazione dei progetti di architettura è perlopiù affidata alla rete, non possiamo esimerci dall’interrogarci su come utilizzare al meglio tutte le opportunità e come creare nuovi dialoghi.
Gli strumenti di social media marketing, dai blog alle pagine social degli studi di architettura, promuovono trend, progetti, idee, critiche architettoniche e spesso ironia.
Un’oceano di informazioni che di rado arriva al destinatario ma che trasmette la falsa illusione che esiste e primeggia chi è più presente.

Esistiamo nella misura in cui gli altri ci trovano in rete, e non solo. Ma è come ci trovano a fare la differenza.
Dobbiamo comunicare i nostri progetti? O i nostri valori e le nostre unicità?

Dal Congresso Mondiale di Architettura a Torino del 2008, “Transmitting Architecture”, ai Convegni al MAXXI fino all’ultima Convention dell’American Institute of Architects (AIA) il tema di come comunicare l’architettura alla società e come instaurare un dialogo fra architetti e società è diventato sempre più presente e sentito.

E’ necessario riattivare il canale di comunicazione tra l’architettura e un pubblico più ampio. 

Farsi conoscere ed apprezzare non solo per quello che l’architettura produce, ma soprattutto per i valori che comunica e per i cambiamenti che innesca nella società.
Dovremmo essere più interessati a comunicare con le persone e se vogliamo essere incisivi, lasciare un segno, dobbiamo aprirci a molteplicità di linguaggi e interpretazioni.

Dobbiamo interessarci del nostro pubblico, conoscerlo e raccontargli una storia, la nostra storia.
Vale per gli architetti ma vale per qualsiasi professione. Non possiamo snocciolare progetti, realizzazioni e non pensare a coinvolgere, emozionare, far sentire il nostro interlocutore parte attiva del nostro racconto.
Rem Koolhaas, durante lo speech alla convention annuale dell’American Institute of Architects del 2016 ha sottolineato come la comunicazione sia ancora oggi un problema per molti architetti.

Gli architetti condividono linguaggi e utilizzano tecnicismi che escludono audience più ampie, sono spesso autoreferenziali; così l’architettura rischia di perdere opportunità e di non comunicare correttamente al resto del mondo i propri valori.

Dovrebbe includere e non escludere, dal momento che ogni singolo progetto di architettura è esso stesso un oggetto di comunicazione, e si relaziona alla città e al territorio instaurando nuove forme di comunicazione fra le persone che lo vivono. Koolhaas sottolinea poi come il crescente uso del termine architettura anche in altri ambiti (architettura della rete, delle infrastrutture, dei software,…) oltre che all’adozione di termini (platform, blueprint,…) e modelli di pensiero tipici dell’architettura ci suggerisce una nuova opportunità per parlare degli architetti non solo come progettisti di edifici ma come organizzatori di pensieri e innovatori sociali.

Un approccio integrato fra architettura e comunicazione quello di Koolhaas che ha influenzato molti architetti, come Zaha Hadid, Winy Maas di MVRDV, Kunlé Adeyemi e Bjarke Ingels, che hanno lavorato presso OMA – Office for Metropolitan Architecture, lo studio di cui egli è stato co-fondatore nel 1975.
Architetti per i quali la comunicazione è diventata uno strumento utilizzato parallelamente alla progettazione.

Come comunicare in modo efficace?

Un esempio su tutti sono i talk di TED – conferenze che diffondono idee brillanti, anche in architettura. Sono un esempio di come in pochi minuti sia possibile emozionare e rendere partecipi le persone di argomenti anche ostici e poco appeal.
Durante la TED Conference nel 2009 e poi successivamente nel 2011, Bjarke Ingels, l’irriverente architetto danese fondatore dello studio BIG, ha presentato la sua visione di come l’architettura può arrivare alle persone.
In modo provocatorio parla ai colleghi suggerendo di non essere noiosi e accademici, le persone, i nostri clienti vogliono di più da noi. Non i dettagli costruttivi o progettuali, non splendide foto di realizzazioni ma pensieri, emozioni e la capacità di risolvere problemi e ispirare con l’architettura.

Il suo Talk parte criticando il dibattito pubblico sull’architettura che di solito si limita a contemplare il risultato finale, l’oggetto architettonico, in un certo senso.“L’ultimo grattacielo di Londra è un cetriolo, una salsiccia o un articolo da sexy shop?”foto_2_1_ingels

Ma provocazioni a parte, il suo talk è un esempio significativo di come l’architetto sia un risolutore di problemi, di come la forma si modella e diventa significato non solo per ciò che contiene ma per come interagisce con il contesto.
Alla base l’idea che i progetti evolvono gradualmente tramite l’adattamento ai cambiamenti e allo scenario. E così durante i talk si racconta e coinvolge il pubblico di non addetti ai lavori sul processo progettuale, su come da una semplice esigenza funzionale si può creare architettura. Ingels, durante il summit annuale del 2014 The Future of StoryTelling, dedicato ad esplorare come il racconto delle storie evolve nell’era digitale, illustra in tempo reale la sua visione disegnando su un enorme pannello bianco.

L’architettura diviene strumento per rendere reale la finzione, per trasformare le idee in realtà.

Lui e il suo team hanno progettato un format per raccontare la storia che sta dietro i progetti combinando immagini con disegni e parole. Non hanno inventato nulla, ma riscoperto il fumetto come forma efficace per comunicare e rendere riconoscibile al pubblico il loro linguaggio. Con “Yes is More. Un archifumetto sull’evoluzione dell’architettura” l’intento è stato quello di trasferire la dinamicità di una conversazione, di riprodurre l’effetto di un incontro con l’architetto, che accompagna in un percorso conoscitivo il suo cliente e gli racconta non il risultato finale ma esplora le sue preoccupazioni, le domande, i conflitti e le contraddizioni che danno forma agli edifici e poi alle città.

Anche per Alejandro Aravena la comunicazione in architettura è parte fondamentale del processo progettuale di condivisione con la comunità. Fra le motivazioni con cui la Giuria lo ha premiato con il Pritzker Prize 2016, il ‘Premio Nobel’ per l’Architettura, oltre alle sue opere di eccellenza architettonica, c’è infatti la sua grande capacità di trasferire alle persone “l’importanza della poesia e la potenza che ha l’architettura di comunicare a molti livelli”.
Quest’anno sarà lui ad aprire la convention dell’AIA a Orlando in Florida.

Fra gli argomenti di comunicazione in architettura è sempre più ricorrente il tema del valore sociale dell’architetto, del suo rimettersi in gioco e scendere in campo per occuparsi della comunità. Un messaggio forte, che ha trovato la sua espressione più alta nella scorsa Biennale di Architettura di Venezia e che è portato avanti oltre che dai singoli architetti, dalle associazioni e dagli Ordini nazionali che promuovono una visione globale della professione.

Fra i tanti progetti che coinvolgono i cittadini nel processo partecipativo di progettazione un notevole esempio in Italia è G124, il gruppo di lavoro creato da Renzo Piano in Senato.

foto_5_periferieIl gruppo ha attivato un laboratorio per progettare la riqualificazione delle periferie delle città italiane lavorando su diversi temi che riguardano l’adeguamento energetico, il consolidamento e il restauro degli edifici pubblici, i luoghi d’aggregazione, la funzione del verde, il trasporto pubblico e i processi partecipativi per coinvolgere gli abitanti nella riqualificazione del quartiere dove vivono.

“Alle nostre periferie occorre un enorme lavoro di rammendo, di riparazione. Parlo di rammendo, perché lo è veramente da tutti i punti di vista, idrogeologico, sismico, estetico“. […]

“Coinvolgere gli abitanti nell’autocostruzione, perché tante opere di consolidamento si possono fare per conto proprio o quasi che è la forma minima dell’impresa. Sto parlando di cantieri leggeri che non implicano l’allontanamento degli abitanti dalle proprie case ma piuttosto di farli partecipare attivamente ai lavori. Sto parlando della figura dell’architetto condotto, una sorta di medico che si preoccupa di curare non le persone malate ma gli edifici malandati”. (cit. Renzo Piano «Il rammendo delle periferie»)

Architetti, cittadini e politica insieme per rendere più bella la città che sarà.